Dal 9 all’11 maggio a Salonicco si è tenuto il festival della chitarra Laikis, organizzato da Dimitris Mystakidis. Oltre a nomi noti, si sono esibiti molti giovani che il rebetiko lo studiano e ne fanno una disciplina esistenziale. La maggior parte dei pezzi sono stati scritti novant’anni fa, ma rimangono intatti nella loro verità. Non esiste più niente del mondo suburbano che li ha generati: le droghe, i manghes, le prigioni. Eppure le canzoni affiorano sulle bocche di tutti. Andare al Prinkēpéssa o al Tombourlika, abbandonarsi alla mareggiata, con un senso di carboneria familiare. Farsi mutare dal passare delle ore, che nella fusione collettiva annullano ogni rigidità sociale, perché davanti a Charon, la morte, siamo tutti uguali. E così cantare insieme fino all’alba brani che hanno la morte dentro e si tengono attaccati epicamente alla vita è un’esperienza che ricorda l’umano, fuori dal consumo, senza separazioni generazionali. I nuovi musicisti hanno abbandonato i cliché dei rebetes e sono i più preparati di ogni tempo. I giovani in Grecia generalmente sanno almeno tre lingue, ma vanno tutti all’estero. Come in Italia la corruzione, la politica, il sistema paese obbligano chi cerca un futuro ad andarsene. Non ci vuole più la guerra, ora bastano le armi di distruzione finanziaria di massa, mi ha detto uno di loro. E ha ricominciato a suonare: Atakti, l’indisciplinata, di Markos Vamvakaris.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: [email protected]

Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati