“Non me ne andrò dall’Italia, rimarrò qui anche se non ho ancora la cittadinanza e continuerò a combattere per quello che è giusto. La battaglia per i diritti può essere anche molto lunga, ma prima o poi la vinceremo”, dice Sonny Olumati, 38 anni, nato a Roma da genitori stranieri, coreografo e attivista dell’associazione Italiani senza cittadinanza.

Già diverse ore prima della chiusura dei seggi nel quartier generale del comitato referendario a Roma c’era preoccupazione. I risultati hanno confermato i timori. Il quorum (cioè il numero minimo di voti necessari) non è stato raggiunto in nessuno dei cinque referendum dell’8 e 9 giugno, ma quello sulla cittadinanza è andato peggio degli altri.

L’affluenza si è fermata al 30,6 per cento, sono andati a votare 14 milioni di italiani. Ma perché i referendum fossero considerati validi, dovevano andarci 25 milioni e mezzo di persone. Solo in 28 comuni è stato raggiunto il quorum, undici dei quali votavano per le comunali, e l’affluenza finale è stata più alta nei comuni più popolosi. Il 90 per cento dei fuori sede, soprattutto studenti, che hanno fatto richiesta di votare nella città in cui vivono, ha effettivamente partecipato al voto.

La provincia con l’affluenza più alta è stata Firenze (46 per cento), seguita da Torino (39,3 per cento), Milano (35,4 per cento), Roma (34 per cento) e Napoli (31,8 per cento). Quella con l’affluenza più bassa è stata Bolzano, dove ha votato appena il 15,9 per cento. Nella mappa dell’affluenza, il nord appare generalmente più partecipativo del sud, ma senza significative eccezioni in grado di ribaltare il dato nazionale.

Si votava per quattro quesiti sul lavoro, proposti dal più grande sindacato italiano, la Cgil, e per un quesito sulle modalità con cui si ottiene la cittadinanza italiana, proposto da vari partiti, tra cui Più Europa e Possibile, e da più di 180 organizzazioni tra cui Italiani senza cittadinanza.

Mentre ai quattro quesiti sul lavoro la percentuale dei sì è stata superiore all’80 per cento, al referendum sulla cittadinanza si è fermata al 65 per cento. Alcuni di quelli che hanno votato sì ai referendum sul lavoro hanno quindi votato no a quello sulla cittadinanza. “Non mi sorprende purtroppo”, ha commentato Kwanza Musi Dos Santos, attivista dell’associazione antirazzista Questa è Roma e del movimento Italiani senza cittadinanza dopo la conferenza stampa del comitato promotore, alla chiusura dei seggi. Una parte degli elettori del Movimento 5 stelle, in effetti, aveva fatto capire che approvava i referendum sul lavoro, ma era in dubbio sulla cittadinanza.

“Purtroppo in questi anni abbiamo visto atteggiamenti simili anche in una parte della sinistra. Ma credo che in ogni caso oggi è la democrazia italiana a essere più debole, perché la maggior parte delle persone non è andata a votare, svuotando di senso il referendum”, ha continuato Dos Santos. Il più netto ad ammettere la sconfitta è stato il segretario della Cgil Maurizio Landini, che appena sono stati chiari i risultati ha riconosciuto: “L’obiettivo era raggiungere il quorum e non ce l’abbiamo fatta”.

Landini ha detto anche che non lascerà la guida del sindacato. Per Riccardo Magi, leader di Più Europa, i risultati del referendum sono frutto anche della scarsa informazione sul tema, assente in particolare dalla televisione generalista. “Nell’ultimo mese sono stati dedicati zero secondi nei telegiornali della Rai al referendum, un italiano su due non ne era a conoscenza”, ha detto Magi citando i dati dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e suggerendo che si dovrebbe riformare lo strumento del referendum abbassando il quorum. Negli ultimi trent’anni ci sono stati 34 referendum abrogativi e solo in quattro casi si è raggiunta la soglia minima di voti necessari. Anche i sondaggi precedenti a questa consultazione facevano pensare che non sarebbe stata raggiunta. “È stata una sfida impari”, ha dichiarato Antonella Soldo del comitato referendario. “Noi abbiamo mobilitato tantissima gente sul territorio, ma l’informazione è stata inesistente”.

Sono state coinvolte nella campagna per il referendum sulla cittadinanza 180 partiti e associazioni, duecento gruppi locali, 18mila attivisti digitali. Lo sforzo di comunicazione, soprattutto online, ha mobilitato i più giovani e le donne, che sono andate a votare in maggioranza rispetto alle elezioni europee, ma non è stato sufficiente. Per Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, che non era tra i promotori, era necessario sostenere i referendum anche sapendo che sarebbe stato difficile raggiungere il quorum, perché si trattava di argomenti troppo importanti.

“Sui temi del lavoro e della cittadinanza continueremo a impegnarci in parlamento con le nostre proposte”, ha aggiunto, criticando il governo guidato da Giorgia Meloni per aver scommesso sull’astensionismo. Schlein ha inoltre fatto notare che sono andate a votare al referendum più persone di quelle che hanno votato i partiti di governo nelle elezioni legislative del 2022. Per il Pd è stato un referendum particolarmente controverso perché alcuni dei quesiti sul lavoro chiedevano di abrogare alcune parti del cosiddetto Jobs act, una legge voluta dallo stesso partito nel 2015, quando era al governo e aveva altri dirigenti.

La cittadinanza, però, rimane una ferita aperta, visti anche i numerosi tentativi di riformarla negli anni precedenti. Lo sottolinea Daniela Ionita, portavoce dell’associazione Italiani senza cittadinanza al termine della conferenza stampa: “Ci sono milioni di persone che rimarranno senza diritti, è sulla loro pelle la ferita più grande. Per le migliaia di attivisti che in queste settimane si sono mobilitate invece c’è una grande delusione che purtroppo ricorda quelle del passato”.

Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.

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