In Italia l’8 e il 9 giugno si terrà un referendum abrogativo e uno dei quesiti referendari, il quinto, propone di modificare la legge numero 91 del 1992, la norma che regola l’acquisizione della cittadinanza attualmente in vigore nel paese. In particolare il quesito vorrebbe portare a cinque gli anni di residenza necessari per chiedere la cittadinanza italiana. Attualmente ne servono dieci. Il referendum è promosso da diversi partiti e associazioni, tra cui la più grande organizzazione di figli di stranieri nati e cresciuti in Italia, gli Italiani senza cittadinanza.
Nel frattempo il 20 maggio la camera ha approvato in via definitiva una riforma della cittadinanza che restringe ulteriormente la possibilità di acquisirla per i discendenti dei cittadini italiani, convertendo in legge un decreto approvato dal governo Meloni nel marzo 2025. La legge introduce il principio secondo cui i discendenti di italiani, nati all’estero, possono chiedere di essere cittadini solo se hanno almeno un genitore o un nonno con la cittadinanza italiana e se i loro antenati non hanno una doppia cittadinanza.
Il tentativo di riformare la cittadinanza con il referendum è l’ultimo di una lunga serie di proposte. Il primo è del 1999, pochi anni dopo l’entrata in vigore della legge attuale, approvata nel 1992, ed è stato proposto dall’allora ministra degli affari sociali Livia Turco. In particolare il testo prevedeva che i figli nati in Italia di cittadini stranieri potessero chiedere la cittadinanza all’età di cinque anni, dopo aver vissuto legalmente e continuativamente nel paese.
I genitori avrebbero dovuto dimostrare di essere residenti in Italia da almeno cinque anni. L’idea era quella di evitare che i bambini che cominciavano il ciclo scolastico obbligatorio fossero trattati come stranieri e avessero meno diritti rispetto ai nati in Italia da genitori italiani. Il progetto di riforma della cittadinanza del 1999 fallì, ma alcuni tratti della proposta di legge rimasero nelle proposte successive.
Nel 2006 l’allora ministro dell’interno Giuliano Amato propose una nuova riforma della cittadinanza, che fu ostacolata dai partiti d’opposizione anche se un sondaggio aveva evidenziato che la maggior parte degli italiani era d’accordo con il testo. L’opposizione ebbe più spazio in tv e sui mezzi d’informazione che nella commissione per gli affari costituzionali dove si esaminava la riforma. Secondo gli esperti, i politici ottennero poco dai negoziati perché si esposero molto nei dibattiti televisivi e questo precluse l’avanzamento delle trattative all’interno delle commissioni.
Nel 2008 la vittoria della coalizione di centrodestra, formata da Forza Italia e dalla Lega nord, e la scelta di spostare le politiche migratorie sul piano dell’ordine pubblico impressero una battuta d’arresto al dibattito sulla riforma. Nel 2009 i deputati Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Popolo della libertà, Pdl) proposero una riforma bipartisan della cittadinanza, che però si fermò nel 2010 per il timore del Pdl di esporsi su questo tema all’inizio della campagna elettorale per le regionali.
La proposta di Granata e Sarubbi prevedeva che chi fosse nato in Italia da genitori stranieri poteva ottenere la cittadinanza italiana a diciott’anni se risiedeva in Italia da almeno cinque anni, superando un test di “integrazione civica e linguistica” e giurando sulla costituzione. Inoltre, sarebbero potuti diventare italiani i figli di immigrati residenti in Italia da almeno cinque anni e quelli che avevano completato un ciclo di studi.
Dopo questo tentativo una ventina di associazioni lanciarono la campagna l’Italia sono anche io, una raccolta firme che permise di presentare in parlamento una legge di iniziativa popolare. La campagna fu sostenuta dall’allora sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, che era anche presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci).
Furono raccolte duecentomila firme. Il testo della legge d’iniziativa popolare fu depositato alla camera il 5 febbraio del 2012. Il 13 ottobre del 2015, dopo una lunga discussione parlamentare, fu approvata dalla camera in prima lettura una riforma che inglobava la legge d’iniziativa popolare e altre venti proposte di legge. Tuttavia la norma, che prevedeva lo ius soli temperato e lo ius culturae, è rimasta bloccata in senato per due anni ed è poi stata definitivamente bocciata nel dicembre del 2017.
Da allora ci sono state altre proposte, in particolare la scorsa estate si è parlato di un testo di Forza Italia, sostenuto da Antonio Tajani, il cosiddetto ius scholae, che intendeva legare alla frequentazione della scuola la possibilità di acquisire la cittadinanza con tempi più rapidi. Ma in contemporanea è stata lanciata la raccolta firme per il referendum abrogativo che si terrà a giugno. Perché la consultazione sia valida, dev’essere raggiunto il quorum, cioè dovrà andare a votare la maggioranza delle persone che hanno il diritto di farlo, cioè almeno una in più della metà, come prevede l’articolo 75 della costituzione.
Secondo un nuovo rapporto del centro studi e ricerche Idos, se l’8 e il 9 giugno vinceranno i “Sì” al referendum sulla cittadinanza, i beneficiari della riforma potrebbero essere 1,42 milioni di residenti non comunitari, cioè uno straniero su quattro tra quelli che vivono regolarmente in Italia.
In particolare gli adulti sarebbero 1,136 milioni, tutti titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata. I minori sarebbero 284mila, dei quali 229mila residenti di lunga durata e 55mila che, pur non avendo raggiunto in proprio il requisito previsto dalla riforma, diventerebbero italiani, perché i genitori gli trasmetterebbero la cittadinanza, grazie alla modifica referendaria.
Rispetto alle prime stime dei promotori del referendum, riferite a una platea generica di potenziali beneficiari, la stima di Idos ha identificato un numero più preciso, partendo dagli immigrati con permesso di soggiorno di lunga durata, che alla fine del 2023 erano 2,139 milioni, di cui 347mila minori.
Oltre a escludere i cittadini europei, non toccati dalla riforma perché possono richiedere la cittadinanza italiana dopo quattro anni di residenza, la stima dei potenziali beneficiari tiene conto del fatto che una buona parte di queste persone viene da paesi non europei che non ammettono la doppia nazionalità.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.
Iscriviti a Frontiere |
La newsletter sulle migrazioni. A cura di Annalisa Camilli. Ogni lunedì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Frontiere
|
La newsletter sulle migrazioni. A cura di Annalisa Camilli. Ogni lunedì.
|
Iscriviti |
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: [email protected]