Sono stato al salone del libro di Torino il 15 maggio. Per entrare al Lingotto c’è un’area con transenne che precede i controlli di accesso. Sembra una piscina con corsie metalliche. Nel cartonato di fronte ci sono immagini e frasi di grandi scrittori. Tutte in qualche modo ricordano l’importanza della libertà, che quasi contiene la parola libro. In quello spazio recintato, angusto e poco propizio al movimento, un manipolo di ragazzi e ragazze manifestava. Una bandiera palestinese, voci che si alternavano al microfono, un sound system a basso volume. Tutta l’area era circondata da polizia, carabinieri, agenti in assetto antisommossa e decine di furgoni con grate. La sproporzione tra i manifestanti e i loro controllori, tra l’esilità dei corpi nelle T-shirt e la rigidità di divise, scudi, furgoni , armi e manganelli faceva impressione. Ho controllato le notizie, solo la notte precedente 84 persone uccise nei bombardamenti notturni a Gaza. Mi è tornato in mente Dylan Thomas, l’autore per cui eravamo lì, quando immaginava che per non diffondere il pericoloso contagio dell’innocenza, il villaggio in cui ognuno esprimeva la propria natura e pensiero venisse recintato dalle forze di quel mondo dell’ordine e della legge che assicura la perpetuazione della violenza, della guerra, del controllo e della sopraffazione. Dove sta la follia, fuori o dentro? Il recinto era lì, davanti a tutta quella librertà .

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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati