Per anni ho insegnato che usare la voce è uno dei modi più facili per calmarsi. Nel mio lavoro di logopedista aiuto persone con disturbi della comunicazione e del linguaggio e assisto le famiglie di chi affronta trattamenti difficili legati a ictus, tumori alla testa e al collo e altri problemi medici. Nella mia vita lavorativa e personale ho scoperto che un lavoro efficace sulla voce può portare al rilassamento. Il segreto è la respirazione profonda e lenta, con il controllo delle vibrazioni che risuonano nel corpo e che creiamo ogni volta che parliamo, facciamo i gargarismi o cantiamo.

Le pieghe vocali, meglio note come corde vocali, sono due fasce di tessuto all’interno della laringe. Quando non parliamo sono aperte e ci consentono di respirare. Quando parliamo, invece, al passaggio dell’aria che proviene dai polmoni si avvicinano producendo vibrazioni che creano suoni ed echi nella gola, nel naso e nella bocca (per sentirle basta poggiare con delicatezza le dita alla base della gola mentre si emettono dei suoni).

Negli anni novanta lo psicologo e ricercatore Stephen Porges ha proposto la teoria polivagale, che collega il rilassamento del sistema nervoso al respiro, al battito cardiaco, all’apparato digerente e alla voce. Anche se la teoria non ha riscosso un consenso generale, negli ultimi trent’anni la ricerca ha dimostrato che il controllo delle vibrazioni nel collo può stimolare una risposta rilassante simile a quella di altre tecniche di mindfulness.

“La vibrazione delle pieghe vocali stimola il nervo laringeo ricorrente, che è un ramo del nervo vago”, spiega Mathilde Shisko, allenatrice della voce che lavora per l’organizzazione non profit Polyvagal institute, fondata tra gli altri da Porges che è anche a capo del Traumatic stress research consortium dell’università dell’Indiana. “Ogni vocalizzazione con una prosodia, come il canto, i vocalizzi o la cantilena, suscita una risposta del sistema nervoso parasimpatico che ci permette di riposare, digerire e rinfrancarci”, sostiene Shisko.

Il lavoro sulla voce si può praticare ovunque. Bastano dai tre ai cinque minuti, anche se esercizi più prolungati probabilmente danno risultati migliori. In piedi o da seduti, l’importante è che la schiena sia dritta e rilassata.

Accogliere le vibrazioni

I vocalizzi sono il primo passo e la ricerca dimostra che aiutano a rilassarsi. In uno studio che ha confrontato gli effetti calmanti di canto, attività fisica e sonno, il primo ha prodotto nei partecipanti l’indice di stress più basso con effetti positivi al livello cardiovascolare, respiratorio e psicologico. Un altro studio ha dimostrato che i vocalizzi hanno effetti benefici sulla parte del cervello che controlla l’umore, l’ansia, le capacità cognitive e la memoria.

Due minuti di questa pratica si possono introdurre in vari momenti del giorno: alla fine di un allenamento, lungo il tragitto per il lavoro, a letto oppure in bagno prima di un incontro importante. Per esercitarsi basta inspirare a fondo per tre o quattro secondi, espandendo il torace e la pancia, e poi espirare per una decina di secondi emettendo un lungo “mmm” con le labbra chiuse. Si raccomanda di prestare attenzione a cosa si sente nel corpo prima, durante e dopo l’esercizio. Se si ha tempo si possono provare tonalità diverse per vedere quale funziona meglio.

“Accogliere le vibrazioni interne, per esempio cantando a bocca chiusa, spesso favorisce un rilassamento ulteriore”, dice Nathan Morgan, coordinatore degli istruttori del Seattle voice lab che offre terapia e formazione. “La pratica permette agli studenti di concentrarsi e di migliorare la creatività e la libertà espressiva”, spiega. Molte persone conoscono il mantra “om” che conclude la lezione di yoga, ma forse non sanno che le ricadute positive sono supportate dalla ricerca. Da un sondaggio che ha coinvolto più di 400 partecipanti di 32 paesi che praticano il canto con regolarità, è emersa una qualità della vita migliore e un maggior accesso alla consapevolezza e al cosiddetto flusso, cioè uno stato in cui si è totalmente immersi in un’attività.

Si consiglia di cominciare con una vocale e di finire con un suono protratto: accertarsi che gola e bocca siano rilassate, inspirare lentamente e cantare la vocale aperta “a” oppure “o” per poi concludere con un lungo “mmm”.

Helen Lavretsky, docente di psichiatria e direttrice del programma di ricerca su umore, stress e benessere in età avanzata all’Ucla di Los Angeles, ha studiato i benefici fisiologici della cantilena. Secondo lei i vocalizzi regolano il respiro, calmano il sistema nervoso, “migliorano il sonno, riducono le infiammazioni e possono avere effetti positivi contro l’invecchiamento”.

Se una persona cara è tesa in genere lo si sente nella voce. Se è arrabbiata o triste lo si nota dall’espressione del viso. Gli attori e i musicisti definiscono spesso il corpo come uno “strumento”, e a ragione. Le loro interpretazioni ci suscitano emozioni. Non è magia: si chiama coregolazione emotiva, ed è un processo in cui il senso di calma di una persona aiuta chi le sta intorno a rilassarsi.

“Parliamo con il cuore, quasi in senso letterale”, sostiene Shisko, spiegando che il nervo vago è collegato alla voce, al respiro e alla frequenza cardiaca. Si pensi a un genitore che calma il figlio appena nato parlandogli dolcemente o a una serie televisiva in cui il detective adotta un tono pacato e un’espressione neutra per far sentire il sospettato così al sicuro da spingerlo a confessare. Sono esempi di come si può influenzare il sistema nervoso altrui.

La mia collega Rebecca Tourino Collinsworth, artista teatrale e direttrice creativa di una compagnia di Seattle, insegna e lavora con la voce da oltre vent’anni. “Dico sempre ai miei studenti che i suoni che emettiamo non devono avere alcuna qualità vocale particolare”. Quando si pratica la respirazione occorre fare molta attenzione alle sensazioni che si provano nella bocca, nella gola e nel torace, consiglia l’artista. Le sensazioni contano più della qualità del suono. “L’impulso a ‘fare bene’ può essere controproducente, perché introduce una tensione che può inibire la voce”.

Gli studi dimostrano anche che usare la voce in gruppo crea coregolazione. “Imparare a farlo con gli altri senza esibirsi per loro può rivelarsi un’esperienza dirompente”, dice Tourino Collinsworth. L’importante è provarci. “Qualunque forma di attenzione e di curiosità verso il respiro e la voce è tempo ben speso”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati